Il secondo dibattito ha avuto momenti televisivi scoppiettanti. È stato Alessandro Sallusti, direttore di Libero, a innescare la miccia: “L’editore di Repubblica fu arrestato, altri si suicidarono o barattarono la libertà. E capirono che Tangentopoli funzionava, si vendevano più copie, si ottenevano salvacondotti facendo da grancassa all’attività degli inquirenti. Mani pulite divenne una bandiera. Anche per noi giornalisti fu un trampolino di lancio quando le principali testate saldarono come un patto con la Procura di Milano. L’avviso di garanzia a Berlusconi ci arrivò al Corriere in fotocopia…”
Immediato il risentimento di Gherardo Colombo, uno dei pubblici ministeri del tempo, collegato da remoto: “Scusi Sallusti, chi vi dette la notizia? Dica chi avrebbe spedito la fotocopia dell’invito a comparire (l’avviso di garanzia è ben altra cosa). Perché la Procura non è una persona, Gliel’ho data io? Gliel’ha data Davigo? O Borrelli?”.
Sallusti: “Ma la cosa grave non fu tanto che ci pervenne in fotocopia quel provvedimento. Fu che si decise di farla uscire proprio quel giorno, quando Berlusconi era sul palcoscenico del mondo! Se la fuga di notizie fosse avvenuta 48 ore dopo, non cambiava nulla. Così provocò davvero un pesante danno di immagine al Paese!”
Colombo: “No guardi, sono io adesso a sentirmi in imbarazzo, queste affermazioni costituiscono un grave discredito. Se lei viene qui a dire certe cose, deve andare fino in fondo. Eravamo in cinque i sostituti procuratori: oltre al capo Borrelli e a quelli citati prima, c’erano anche D’Ambrosio, Greco e Di Pietro. Se la fuga della notizia come sta dicendo lei è della Procura, beh allora siamo cinque innocenti e una persona che ha tradito la fiducia di tutti!”
Sallusti: “Guardi che il giorno dopo aver pubblicato quella notizia giunta in fotocopia, venni avvisato per telefono che avrei avuto una perquisizione a mezzogiorno. Era chiaramente l’invito a comportarmi di conseguenza…”.
Il direttore del “Riformista” Piero Sansonetti, che seguì l’inchiesta di trent’anni fa, ha chiesto a Colombo se venne mai aperto un procedimento per quella indebita rivelazione. L’ex magistrato ha ribattuto che sarebbe spettato eventualmente alla Procura di Brescia, competente se l’ipotesi fosse che a spedire la fotocopia al Corriere fosse stato un magistrato.
Sansonetti: “Ho capito, si perseguono certi crimini, non sempre tutti…Ma la delega data alla magistratura milanese risaliva agli anni ‘70 col terrorismo, quando per combattere la lotta armata (in cui la stessa magistratura aveva avuto le sue vittime) i pubblici ministeri stipularono come un patto di alleanza con il giornalismo. E allo scoppio di Tangentopoli nacque il pool delle principali testate, ricordo che ci si telefonava alle 19 e si decideva assieme, sulla base di quello che era arrivato dalla Procura, su cosa mettere in prima pagina.
Nacque allora il processo mediatico che – ricordiamocelo bene – fu anche omissivo. Il senatore Pittelli fu rinchiuso un anno (un anno!) nel carcere pesantissimo di Bad’e Carros. Era innocente. Ma non andava scritto che la Procura aveva preso un’altra cantonata. La metà degli imputati di Tangentopoli è stata assolta…”
Colombo: “Evidentemente abbiamo visioni diverse. Gli assolti furono il 20%, un totale fisiologico nelle grandi inchieste. Oggi siamo in genere al 50. E comunque ciò avvenne perché fu cambiata la legge sul falso in bilancio e ci furono così tante prescrizioni”.
Sansonetti: “Fu applicata una legge votata dal Parlamento, no? E comunque i condannati furono soltanto il 40 per cento degli inquisiti”.
È riuscito a smorzare i toni Gian Marco Chiocci, direttore ADNKronos, proponendo una cena di chiarimento tra Colombo e i giornalisti.
Redazione IUS101.it