Crisi energetica Iran

La crisi energetica in Iran puo’ agevolare la caduta del regime
L’Iran sta affrontando una crisi energetica di natura sistemica e sebbene in passato il Paese abbia spesso sperimentato mancanze di gas o di prodotti raffinati, questa volta si trova di fronte a un collasso complessivo del settore energetico, con carenze simultanee di elettricità, gas naturale e derivati del petrolio. Questa crisi potrebbe avere ripercussioni sulla stabilità del regime degli Ayatollah. L’incapacità di soddisfare i bisogni energetici essenziali della popolazione evidenzia una debolezza strutturale significativa dell’apparato di potere. Anche gli scambi di gas tra l’Iran e i Paesi vicini, come Turchia e Iraq, sono stati interrotti. Al momento, non esistono soluzioni rapide per affrontare questa crisi, che continuerà a frenare lo sviluppo economico. L’Iran possiede la seconda riserva di gas naturale più grande al mondo ed è il quarto paese per riserve petrolifere globali. Con 300 giorni di sole all’anno, ampie aree costiere e ventose zone montuose, dispone anche di un notevole potenziale per l’energia eolica e solare. Nonostante ciò, il Paese affronta un deficit cronico di elettricità pari al 20%, un’insufficienza di gas naturale del 25% e gravi carenze di carburanti, in particolare benzina. Per lungo tempo, Teheran è stata consapevole dell’avvicinarsi della crisi energetica, ma non ha adottato provvedimenti significativi per prevenirla.

Non ci sono soluzioni immediate per affrontare la crisi energetica dell’Iran
Il ministro del Petrolio, Mohsen Paknejad, ha affermato questa settimana che sarebbero necessari 45 miliardi di dollari di investimenti per superare l’attuale emergenza. Un possibile modo per mitigare l’impatto della crisi potrebbe essere aumentare le importazioni di gas dal Turkmenistan. Tuttavia, Teheran non è riuscita a mantenere costanti queste importazioni nel corso degli anni a causa dei mancati pagamenti e la corruzione dilagante. Inoltre, i sussidi energetici forniti dal governo alla popolazione rappresentano un notevole peso economico, assorbendo quasi un quarto del prodotto interno lordo del Paese. La crisi energetica dell’Iran è il risultato di diversi fattori. In primo luogo, i prezzi interni di gas ed elettricità sono estremamente bassi, il che alimenta una domanda energetica elevata. Questi prezzi ridotti rappresentano, di fatto, un sussidio statale volto a garantire il consenso popolare. Tuttavia, in passato, ogni tentativo del governo di aumentare i costi dell’energia ha provocato proteste di massa. Per questo motivo, il regime evita di rischiare nuove insurrezioni. Inoltre, tariffe così basse scoraggiano gli investimenti privati nel settore dell’energia, lasciando il governo a sostenere perdite finanziarie sull’energia fornita alla popolazione. In secondo luogo, il settore energetico, come molti altri settori strategici delle infrastrutture e delle comunicazioni in Iran, è sotto il controllo dei comandanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC). La gestione finanziaria è opaca e pervasa da corruzione. Anche quando vengono assegnati fondi pubblici per migliorare e ampliare le infrastrutture energetiche, una parte significativa viene deviata. In terzo luogo, i prodotti raffinati sovvenzionati sono spesso oggetto di contrabbando verso l’estero, aggravando ulteriormente le carenze interne. Si stima che circa il 20% del carburante prodotto in Iran venga illegalmente esportato, approfittando del divario di prezzo significativo tra l’Iran e i Paesi vicini, il che rende il contrabbando un’attività altamente redditizia. Inoltre, la mancata manutenzione dell’infrastruttura energetica e della produzione ha portato a una situazione critica. Le infrastrutture obsolete e inefficienti causano perdite del 40% durante la produzione e la trasmissione di elettricità e gas destinati al consumo domestico. Inoltre, l’Iran non dispone di una capacità adeguata di stoccaggio del gas, indispensabile per far fronte alle variazioni stagionali della domanda, alla volatilità della produzione e ad altre difficoltà. Infine, le priorità politiche di Teheran hanno contribuito in modo significativo alla crisi energetica: per circa un decennio, l’Iran ha fornito tra 80.000 e 100.000 barili di petrolio al giorno alla Siria, senza alcun ritorno economico, attraverso una linea di credito che non sarà mai rimborsata. Nel frattempo, il Paese non è riuscito a garantire una quantità sufficiente di carburante per soddisfare le esigenze interne. Questa crisi energetica sta avendo gravi ripercussioni sull’economia iraniana: tra il 30% e il 50% delle fabbriche sono attualmente ferme a causa della mancanza di una fornitura elettrica stabile. Anche la produzione petrolifera è in difficoltà, poiché non c’è gas disponibile per l’iniezione nei giacimenti. La produzione di acciaio è crollata del 50% nell’ultimo anno, mentre molte raffinerie non sono operative a causa delle interruzioni elettriche, aggravando la carenza di carburante raffinato. Questo non solo priva il mercato interno dei prodotti necessari, ma riduce anche le entrate derivanti dalle esportazioni. Allo stesso modo, circa 22 cementifici hanno interrotto le attività, e la produzione farmaceutica è in forte declino.

Anche il settore agricolo risente pesantemente della crisi. La carenza di gas naturale ha ridotto la produzione di fertilizzanti, con un conseguente aumento dei prezzi di questi ultimi e, di riflesso, dei prodotti agricoli. Nei periodi estivi passati, i raccolti sono stati danneggiati dalle frequenti interruzioni di corrente, che hanno impedito il funzionamento delle pompe idriche. A differenza di quanto affermato dal regime, le sanzioni non sono la causa principale della crisi energetica. L’Iran possiede le capacità per produrre energia e gas naturale senza ricorrere a tecnologie estere. La Russia, ad esempio, pur essendo sotto sanzioni da più di un decennio, è riuscita a garantire energia e riscaldamento ai propri cittadini. L’Iran potrebbe facilmente acquistare le attrezzature necessarie da Russia e Cina, laddove non fosse in grado di produrle autonomamente. Inoltre, l’ipotesi che Israele sia responsabile non è supportata da prove concrete. Nonostante il regime abbia accusato Israele di aver attaccato due gasdotti l’anno scorso, questa spiegazione è insufficiente, poiché i gasdotti sono relativamente facili da riparare e non giustificano la portata complessiva della crisi attuale.

L’iran non rispetta i contratti con l’estero per le esportazioni di gas naturale
La carenza di gas sta influenzando anche le esportazioni di gas naturale di Teheran, che attualmente fornisce gas a Turchia, Iraq e Armenia. Secondo il Ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali della Turchia, Dr. Alparslan Bayraktar, le esportazioni iraniane verso la Turchia sono attualmente pari a metà dell’impegno contrattuale. Anche l’Iraq ha riportato riduzioni nella produzione petrolifera a causa delle interruzioni nella fornitura di gas da parte dell’Iran.
La domanda energetica in Iran continua a crescere, ma la produzione non riesce a tenere il passo. Secondo le stime ufficiali del governo iraniano del 2010, il Paese avrebbe avuto bisogno di una crescita annua della produzione elettrica di almeno il 7% per evitare carenze, ma ha raggiunto solo la metà di questo obiettivo. Nel 2023, la produzione è arrivata a un terzo di quanto necessario, con una crescita ancora più limitata registrata l’anno scorso.

Attualmente, oltre il 90% dell’elettricità in Iran proviene da centrali termoelettriche caratterizzate da un’efficienza molto bassa. Alcuni degli impianti più datati raggiungono tassi di efficienza che non superano il 20%. Inoltre, le energie rinnovabili contribuiscono appena all’1% della produzione elettrica complessiva del Paese. L’Iran affronta anche un grave deficit di benzina e gasolio e, per gestire queste carenze, importa carburante dai Paesi vicini, tra cui la Russia. I blackout sempre piu’ frequenti e la mancanza di carburante sono stati spesso l’innesco di proteste e rovesciamenti di governo in diversi Paesi. I regimi di Hosni Mubarak e Mohammad Morsi in Egitto sono entrambi crollati in seguito a prolungati blackout. Allo stesso modo, la guerra civile in Siria sotto Bashar al-Assad è scoppiata dopo che la produzione petrolifera del Paese si era ridotta al livello del consumo interno, lasciando il governo senza sufficienti entrate per finanziare i servizi di sicurezza. Più recentemente, in Bangladesh, i manifestanti hanno destituito il governo del Primo Ministro Sheikh Hasina tra diffuse interruzioni di corrente. La crisi energetica dell’Iran rischia di alimentare ulteriori proteste contro il già impopolare governo della Repubblica islamica. Questo momento critico coincide con il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il quale ha piu’ volte dichiarato apertamente l’intenzione di eliminare attraverso nuove durissime sanzioni la minaccia rappresentata dall’Iran.

Stefano Piazza
giornalista

 


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