A trent’anni della strage di Capaci ricordiamo le figure di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Ancora oggi identifichiamo in Giovanni Falcone il modello del magistrato inquirente, che, grazie al suo rigoroso metodo investigativo e alla totale dedizione della propria esistenza nella lotta alla cultura mafiosa, tracciò la via di un’azione giudiziaria finalmente vittoriosa nei confronti del crimine organizzato.

Eppure nei suoi ventotto anni di professione egli esercitò la funzione di pubblico ministero per meno di quattro anni e mezzo.

Le esperienze di giudice istruttore e, prima ancora di giudice penale e civile nonché giudice addetto ai fallimenti nel piccolo tribunale di Trapani e poi a Palermo sono alla base della sua tecnica d’indagine, della ricerca del bandolo lasciato da un passaggio di denaro, dell’idea di destrutturare il compendio probatorio affidatogli dalla polizia giudiziaria per analizzarne ogni componente e ritrovarne un comune denominatore utile all’indagine. La competenza in materia bancaria e la padronanza delle dinamiche societarie sono alla base di quel metodo.

La vita professionale di Giovanni Falcone testimonia dunque l’importanza dell’arricchimento derivante dalla pluralità delle funzioni giudiziarie.

La sua esperienza umana e morale resta al contempo un esempio di disponibilità ad affrontare senza indugio le conseguenze dei processi e delle indagini che si trovò assegnate, anche quando esse imposero sacrifici personali opprimenti. Alla violenza e alla sopraffazione Giovani Falcone oppose le armi della logica e della cultura, dello studio certosino dei legami tra singoli eventi, del lavoro di squadra, della massima circolazione possibile delle informazioni tra i colleghi impegnati su casi analoghi: tutte armi dispiegate al servizio dello Stato.

Oggi ne misuriamo appieno l’efficacia nella lotta a Cosa nostra. All’epoca richiesero scelte non scontate, determinate, coraggiose, perché spesso controcorrente, fino all’ultima, quella di provare a sviluppare i risultati maturati sul campo all’interno del Ministero della giustizia.

Ci resta un insegnamento di fondo che investe il senso della professionalità giudiziaria alimentata dalla diversità delle funzioni, dalla condivisione dei risultati, dall’attenzione per l’organizzazione e la collaborazione tra uffici. In questo insegnamento ritroviamo l’eredità profonda che Giovanni Falcone ha consegnato a ogni magistrato.

 


 

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