Da più di 30 anni dedico la mia attenzione, la mia attività di medico, la mia ricerca e la mia competenza specialistica, ad una sindrome clinica che può colpire ognuno di noi, purché sia abbastanza sensibile agli accadimenti, abbia un elevato senso di responsabilità, viva la famiglia ed il lavoro con la comprensibile esigenza di poter tenere tutto sotto controllo, quasi ossessivamente, per poter gestire ogni cosa con precisione e senza farsi sfuggire dei particolari che potrebbero risultare fondamentali nel futuro.

Tutto ciò in realtà fa parte dell’esistenza di molti di noi, eppure un giorno questo equilibrio si rompe e nel paziente fibromialgico accade qualcosa di imprevedibile, non ha più modo di ricaricarsi durante la notte, e la mattina, già prima di iniziare la giornata, diventa più pesante e più faticosa rispetto alla sera precedente, quando ci si è coricati sperando che per una volta il sonno ritornasse ad essere quello di una volta, di nuovo profondo, senza le annose interruzioni per il dolore, per disturbi minzionali, per l’incapacità a trovare posizioni antalgiche o senza motivazioni particolari, ma per una volta almeno con la caratteristica di essere ristoratore e di permettere di iniziare la giornata dopo essersi fisiologicamente ricaricati, come è sempre avvenuto quando la vita si svolgeva in modo normale, con alti e bassi, con gioie e preoccupazioni, ma anche con la curiosità di poter vivere ancora una pagina del romanzo della nostra vita, che rimane il bene supremo, ma che pretendiamo sia dignitosa.

Alcuni scienziati, ed io sono tra questi, oggi concordano nel ritenere che l’equilibrio si rompa a causa di una cascata di citochine infiammatorie (viene chiamata addirittura tempesta citochinica) che da un certo punto in poi determina una diffusione a tutto il corpo di un disturbo (per lo più il dolore), che inizialmente sembrava localizzato e controllabile dal riposo e dalla terapia medica ma che invece un bel (forse anche brutto) giorno si sgancia dal meccanismo patogenetico che ne ha determinato l’insorgenza ed entra in un circolo vizioso da cui è molto difficile uscirne e che comporta una continua aggiunta di disturbi fino a racchiudere in se’ quasi la gran parte dei sintomi presenti in tante diverse malattie.

Da quel momento in poi il dolore diviene diffuso e cronico, presente giorno e notte, associandosi a rigidità e contrattura muscolare, come se il corpo fosse ‘ingabbiato”, la stanchezza fa parte del vissuto ordinario del paziente fibromialgico e lo costringe a doversi riposare frequentemente, a sdraiarsi sul divano con la speranza di ritrovare energie (che per la verità tardano ad arrivare perché ciò che si è perso durante la notte, in un sonno che non è mai ristoratore,  é difficile poterlo recuperare in condizioni di veglia), iniziano persino quelli che noi chiamiamo disturbi cognitivi, cioè la sensazione di non ricordare i termini e le parole, di non riuscire a seguire compiutamente il senso di un discorso, la difficoltà di concentrarsi, ad esempio nel leggere un libro, che una volta piaceva tanto.

I pazienti fibromialgici, oltre che essere caratterizzati tutti da una spiccata affidabilità, perché si occupano di tutto e di tutti contemporaneamente, hanno anche la caratteristica di coricarsi con un vorticoso fluire del pensiero, sui programmi e sulle cose da fare nel giorno successivo, ma l’unico modo di distrarre la mente è quello di addormentarsi guardando un qualsiasi programma in televisione, magari un film di cui non si conoscerà mai la narrazione perché il giorno seguente ci sono troppe cose da fare, oppure nel guardare il cellulare e chattare sui social o anche semplicemente giocare con il telefonino, oppure portarsi tablet o computer nel letto per sperare di poter continuare lo studio o ad informarsi.

È ormai ben chiaro che ciò fa male, che determina una attenzione del cervello verso ciò che si è visto al momento di addormentarsi, ed in termini scientifici impedisce l’attivazione dei trasmettitori endorfinici nella fase quarta di sonno non-REM, quella più profonda, eppure il paziente fibromialgico non ne può fare a meno, è altrimenti troppo doloroso non riuscire a fermare il corso dei pensieri, ed entra inesorabilmente in quel circolo vizioso che impedisce di attivare quei mediatori chimici che sono necessari per sentirsi bene, che ci difendono dal dolore, che ci permettono le azioni e persino gli sforzi, che ci danno lucidità mentale e rapidità nel compiere movimenti fisici e attività psichiche.

In verità, per ricaricarsi di trasmettitori endorfinici, ancora prima di una loro attivazione durante le fasi notturne di buio, sarebbe necessario praticare una attività fisica moderata, continua e piacevole. Ma come questo è possibile se invece il dolore diffuso, la facile faticabilita’ muscolare, l’esigenza di riposarsi, impediscono tale movimento ed, ancora di più, il desiderio di fare attività fisica?

Inizia, pertanto, quella che noi chiamiamo fibrofog, una sorta di annebiamento, di ottundimento, che sembra accompagnare sempre il paziente fibromialgico durante la giornata. Si sommano altri sintomi, come le parestesie, una sorta di addormentamento o formicolio di un arto o delle estremità, le disestesie, cioè disturbi della sensibilità, l’ipostenia, cioè la mancanza di forza ad un arto e la difficoltà alla prensione e a trattenere qualcosa in mano, altre volte ci si lamenta di una sorta di tremore interno o esteriore.

Talora possono intervenire disturbi severi dovuti alla irritazione neuropatica, come il bruciore ed il prurito, e possono essere incoercibili e resistenti ad ogni trattamento, tranne a quelli specifici per la sindrome fibromialgica, che però hanno bisogno di tempo, di collaborazione da parte del paziente, di empatia con il proprio specialista curante.

Invariabilmente, questa già di per se’ complessa sindrome, si somma ad altre sindromi, come quella del colon irritabile, delle gambe senza riposo, della stanchezza cronica, dell’emicrania o della cefalea muscolo-tensiva, che possono precedere anche di anni il dolore diffuso o che si possono aggiungere ad esso.

Anche i sintomi psichici si fanno più ingombranti  e più intensi, l’ansia diviene ancora più severa e facente parte della vita del paziente fiibromialgico, è accresciuta dal non sentirsi compreso, dalla mancanza di una diagnosi e di una cura per i propri disturbi, dal non riuscire più a fare tutto ciò che si intenderebbe fare. Ed ecco la’, compare quel malessere per cui da sempre si viene scambiati e che è contraddistinto da una riduzione del tono dell’umore, dalla tristezza di non sentirsi compresi e tutelati, talora da depressione, dando ragione a quei medici (!) che ritenevano tutto in relazione ad una sofferenza solo psichica, quasi come se il malessere fisico fosse inventato.

Al di là di tutto, nella fase di coinvolgimento psichico e fisico, diviene difficile andare a lavorare, rispondere alle esigenze del datore di lavoro, rimanere in posizione statica davanti ad un computer o in ufficio, scrivere e concentrarsi per far fronte alle modalità che ogni diverso lavoro comporta.

In casa si ha difficoltà ad occuparsi delle faccende domestiche, della educazione e preparazione scolastica dei figli, delle esigenze di un marito o di una moglie che hanno dubbi sulle sofferenze realmente provate dal paziente fibromialgico.

Perché ancora oggi non vi è alcun test di laboratorio che possa confermare la diagnosi di fibromialgia, non vi è alcun esame radiologico o elettrofisiologico che possa dar prova di questa sofferenza interna. Non vi è alcun riconoscimento di questa sindrome nei Livelli Essenziali di Assistenza ed il paziente deve pagarsi di tasca propria le cure, che siano farmacologiche, fisioterapiche o psicoterapiche.

Eppure la diagnosi non sarebbe poi così difficile, perché non vi è alcuna malattia che ha in se’ il corollario di disturbi presenti  nella sindrome fibromialgica, nessun altro paziente descrive nello stesso modo (ed in qualsiasi parte del mondo) e con la  stessa precisione e minuzia di particolari i propri disturbi, spesso usando termini (dolore fortissimo e lacerante, scosse e passaggio di corrente elettrica, pressione della testa o del corpo con senso di vuoto contemporaneo, mancanza di forza e di tono per rimanere in piedi pur muovendosi disinvoltamente, ecc.) che lo fanno apparire un marziano, o peggio, un paziente psichiatrico al cospetto del medico inconsapevole.

Si tratta di pazienti, per lo più donne (con un rapporto di circa 9:1), numerosissimi: se ne contano circa due milioni, ma questi sono solo i pazienti conosciuti e riconosciuti dai loro medici o dagli specialisti, ma se ci fosse una maggiore attenzione ai loro disturbi, alla loro impotenza funzionale, alla loro sofferenza, se ci fosse la possibilità di avere una diagnosi più condivisa ed oggettiva, si scoprirebbe che il loro numero potrebbe andare ben oltre il doppio dei pazienti già diagnosticati o presunti tali.

Il laboratorio è sempre importante per escludere altre patologie reumatiche (in questo caso i markers di infiammazione come VES, PCR, fibrinogeno, alfa globuline ed altri, compresi alcuni autoanticorpi specifici ,facilitano la diagnosi), controllare lo stato della funzione tiroidea (è frequente nell’anamnesi dei pazienti fibromialgici una tiroidite autoimmune virata verso l’ipotiroidismo), escludere coinvolgimenti metabolici dovuti al diabete ed alla dislipidemia (che vanno trattati efficacemente per poter avere buoni risultati anche nella cura della fibromialgia), dosare alcune possibili deficienze vitaminiche (in primis la vitamina D), che vanno prontamente integrate.

Anche le cure, che per la verità sono approvate ed efficaci ed hanno avuto una lunga sperimentazione in gran parte dei paesi più evoluti da un punto di vista scientifico, hanno la necessità di essere prescritti da medici scrupolosi, attenti alle esigenze del paziente, con cui è indispensabile ricercare pazientemente una empatia che permetta il suo coinvolgimento e la sua collaborazione nel trattamento.

Soprattutto è indispensabile che si smetta di chiudere entrambi gli occhi davanti alla sofferenza ed alla incapacità funzionale del paziente fibromialgico che, specie nelle fasi di riacutizzazione, va supportato, per permettergli un sereno superamento della fase acuta ed un adeguato sostentamento e diritto alle cure, tutele che sono tuttora inesistenti nel SSN e nella giurisdizione di tipo medico-legale.


Andrea Arcieri 

Medico Internista Reumatologo Docente università Sapienza di Roma