Dove è applicata, la Bolkestein non funziona. In Italia l’aggravante della sicurezza dei confini e della tutela ambientale.
In Italia è tornata alla ribalta la questione della gestione delle spiagge. La decisione del Consiglio di Stato italiano, del 30 aprile, ordina di introdurre urgentemente procedure di gara per le concessioni delle spiagge. Dopo oltre dieci anni di scontri tra Roma e Commissione Europea, la sentenza invalida qualsiasi rinnovo delle concessioni dopo il 31 dicembre 2023, compresa la proroga al 31 dicembre del Governo Meloni. In Europa, le coste italiane si posizionano al terzo posto per lunghezza, dopo Grecia e Regno Unito, con i loro quasi 8.000 km di costa[1]: un vero polmone economico-finanziario per l’Italia. La direttiva Bolkestein non contempla la sicurezza, non solo dei confini, la tutela del paesaggio e dell’ambiente prevedendo gare d’appalto europee per le spiagge italiane.
L’Italia ospita sul suo suolo in prossimità delle coste almeno 120 basi militari e aeroporti USA, senza contare quelle italiane. In un‘ottica di balneazione appaltata a livello europeo, non si saprebbe quindi da chi potrebbero essere osservate e per quali fini. In materia di sicurezza, in Italia abbiamo flussi migratori da gestire e basi militari che vanno tenute alla larga da occhi indiscreti. Tra le cose non trascurabili poi c’è l’impatto ambientale. L’Italia da anni sta conducendo una feroce battaglia con le mafie, che hanno “riminizzato” le coste del sud creando disastri ambientali di non poco conto: eventuali infiltrazioni mafiose “consorziate” per gestire spiagge, perché come ben sa l’Italia, gara d’appalto non vuol dire sempre legalità garantita. C’è inoltre la questione sismica, idrogeologica, i parchi marini e la salvaguardia delle coste di cui non si parla e ancora della questione sociale che lega i cittadini delle coste al loro mare. Elementi che ora con tutte le specifiche del caso sono rispettate dai concessionari balneari che da anni oltre che guadagnare con le spiagge le tutelano perché sono la loro unica fonte di reddito e non vanno a saccheggiare beni solo per fare cassa.
La Francia per esempio ha attuato la direttiva due anni prima che entrasse in vigore e non esistono spiagge balneari private nel senso stretto del termine. Il demanio marittimo francese, è inalienabile e pertanto nessuno può divenirne proprietario. La legge del 1986 ha chiarito una situazione vaga. Le concessioni sono ufficialmente autorizzate, ma vengono rilasciate solo dalle Prefetture, con i Comuni che ne diventano intermediari. A volte è davvero un caos per stessa ammissione delle autorità francesi. Le concessioni francesi sono in media 1.500. La concessione non può durare più di sei mesi all’anno, tranne che nelle località turistiche classificate, dove può durare da otto a dodici mesi; il contratto dura al massimo dodici anni, rinnovabile. Il concessionario dovrà rispettare alcune regole: non occupare più del 20% della superficie totale della spiaggia naturale, del 50% se artificiale; per il passaggio dei pedoni deve essere lasciata una fascia situata in riva al mare, di larghezza compresa tra tre e cinque metri. Nel 2015 fece scalpore la chiusura della spiaggia Villauris davanti la villa del re saudita Salman, ritenuta ammissibile per motivi di sicurezza.
L’Italia non si è preparata con normative adeguate all’introduzione di una direttiva che chiede maggiori servizi in un paese re dei servizi marittimi. In Francia ha fatto scuola il caso delle spiagge private di La Grande Motte che vedono il Comune di La Grande Motte contro la Prefettura. Questi due attori devono garantire il rispetto delle normative, sviluppando al contempo i territori in modo sostenibile.
Siamo in Occitania e le spiagge private di La Grande Motte svolgono la loro attività nell’ambito di concessioni; i diversi attori pubblici seguendo gli obiettivi della legge del 1986 perseguono fini diversi e il Comune di La Grande Motte ha una convergenza di interessi con le spiagge private, che portano flussi di cassa. Contro di loro le associazioni locali: ARAGT (Association des Rivières et Amis du Grand Travers) creata nel 2017 e AGME (Association Grande Motte Environnement), creata nel 2001. Questa rete ambientalista ha l’obiettivo principale di chiudere definitivamente le spiagge private di Grand Travers a La Grande Motte. Infine ci sono le associazioni dei ristoratori che sono contro gli ambientalisti che non vogliono i locali notturni e si battono contro l’inquinamento acustico.
Più che incrementare i servizi, la direttiva Bolkestein ha creato disservizi così come scrive una pubblicazione del 2023, Urban coasts in socio-ecological transition. A framework to analyse the city-sea interface reperibile on line[2] in cui si analizza l’interfaccia città-mare delle coste urbane in transizione socio-ecologica. Si tratta di uno studio del Dipartimento di architettura francese; è una collaborazione tra l’Università di Marsiglia e della Federico II in Italia.
Nella ampia pubblicazione che analizza la città di Napoli e Marsiglia si legge: “Nonostante le critiche normative a livello comunitario, il valore sociale ma anche anche quello economico della proprietà demaniale delle coste, è un fattore che denota l’importanza di una pianificazione adeguata in termini di sviluppo urbano e paesaggistico”. In Francia dove la direttiva è applicata: “Si notano progressivi cambiamenti nell’introduzione di diversi sistemi di gare volti a liberalizzare lo scambio e la circolazione dei capitali economici, basati su un adeguato utilizzo dei servizi costieri, secondo le indicazioni europee: inoltre, i bandi di gara possono generare anche fenomeni di eccessiva monetizzazione del demanio dello Stato marittimo, poiché un uso chiaramente votato alla socialità pubblica potrebbe comportare svantaggi economici al concessionario; d’altro canto, se le autorità centrali tendono ad avere il controllo sulla qualità culturale e paesaggistica dell’interfaccia, la gestione e il rilascio delle licenze di sfruttamento costiero sono spesso delegati alle regioni e ai comuni, affidando a soggetti privati la realizzazione dei progetti. Lo sfruttamento delle coste urbane presuppone la partecipazione attiva della società costiera, suggerendo di ripensare le modalità di concessione delle concessioni, eludendo la necessità di incanalare la gestione delle coste in mano a pochi soggetti privati e di indirizzare il processo verso sistemi di governance integrati, in modo flessibile e coerente con le condizioni normative e socio-ecologiche dell’interfaccia città-mare”.
Graziella Giangiulio
direttore team OSINT UNIT Agc Communication