Nel corso della storia, il senso del lavoro ha una determinazione non sempre positiva e tutt’altro che lineare. Negli ultimi decenni, il suo svuotamento di ogni significato ideologico si è accompagnato al riconoscimento collettivo del denaro come unico generatore di valori e di simboli.  Entrambe le cose e l’attuale collocazione, proprio del lavoro, come crocevia delle tre grandi transizioni forniscono alla grande questione del lavoro un significato centrale ma inedito. Non è per nulla automatico dare “importanza” al lavoro soprattutto se non se ne riscrive l’alfabeto e il racconto, specie se si immagina una crescita del suo valore e riconoscimento come esperienza di cura e riscatto. E dunque, a questo scopo, cos’è il lavoro oggi e cosa dovrebbe essere? Esso è sicuramente strumento di sussistenza primaria, ma anche di soddisfazione di desideri voluttuari, è mezzo per contribuire fiscalmente al funzionamento dello Stato, ri­cevendone in cambio servizi e protezione sociale. Questa caratteristica strumentale non deve essere sottovalutata, ma è fondamentale che oggi il lavoro assuma nuovamente un significato più denso e profondo, quello dell’emancipazio­ne delle donne e degli uomini.

Un riscatto che liberi la creatività, la partecipazione e la solidarietà, rendendo il lavoro presidio di dignità come precondizione per far fiorire la persona. Ecco, il lavoro dignitoso non è solo quello che rispetta le leggi e i contratti, ma quello che fa fiorire la persona. In questa capacità di generare lavoro che sia un’esperienza di crescita, si configura la sfida delle organizzazioni.

Il lavoro dice a noi stessi e agli altri anche chi siamo, non solo cosa facciamo. Con il lavoro definiamo il nostro posto nel mondo e la nostra identità. E sotto questi aspet­ti gli altri ci riconoscono.

Col passare dei secoli, il rapporto dell’uomo con la parola lavoro ci dice progressivamente che il lavoro, oltre che essere una dimensione di fatica può, e forse deve, avere anche una dimensione identitaria positiva permettendo ad ognuno di noi di “generare” qualcosa di positivo e utile per noi stessi e per la società in cui viviamo. Per questo è necessario riportare attenzione autentica sui grandi nodi del lavoro, curando gli aspetti inediti del suo senso e sgombrando la visuale da vecchie lenti ideologiche confortevoli, ma che ci impediscono di capire.

A confermare questa necessità di un nuovo pensiero del lavoro ci sono i nodi del lavoro italiano, sempre più stretti da contraddizioni: la disoccupazione giovanile e di genere tra le più alte d’Europa. Quattro milioni di Neet, crescente disallineamento tra competenze prodotte dal sistema di istruzione e quelle richieste, basso numero di laureati e 25mi in Europa per le competenze digitali, scarsa attrattività dei giovani e loro fuga verso altri paesi a cui si è unito un crescente fenomeno di dimissioni volontarie.

Le persone danno più valore e giustizia al lavoro tempo. Gerarchie e culture organizzative basate sul controllo forniscono sempre meno garanzie di produttività e deprimono l’ingaggio cognitivo delle persone. Il fenomeno riguarda, al momento, giovani di skills medio-alte.

E’ un ulteriore prova di quanto afferma Papa Francesco: persona e lavoro sono un binomio inscindibile. Non capirlo nuoce lavoratori e imprese.

 

Marco Bentivogli

coordinatore nazionale di Base Italia